mercoledì 23 dicembre 2009

Il Fantasma di Fidel e il Nuovo Spettacolo

Fantasma di Fidel e il Nuovo Spettacolo?

Sono convinto che l’ultima cosa che vorrebbe Obama in America Latina è il confronto con il regime castrista (il che si tradurrebbe come un’aggressione del colosso del nord contro la piccola e innocente Cuba) perché in qualunque modo agli Stati Uniti spetterebbe la condanna del mondo. Cuba guardata globalmente con un regime senza alcuna virtù è più amata e simpatica al mondo che gli Stati Uniti che è una democrazia anche senz’altro con tanti difetti. In questa, chiamiamola sfida, la maggior parte del mondo perde l’obiettività.
Sono convinto pure, sin dall’arrivo al potere di Barack Obama che gli sforzi per raggiungere la distensione con Cuba da parte del nuovo governo alla Casa Bianca è uno spreco di tempo ed energia invece, è un guadagno di tempo per la corrotta e inefficace gerontocrazia cubana al potere. La storia del castrismo ci offre una vera testimonianza di ciò che chiamano rapporto con i diversi governi americani: undici presidenti e circa quindici mandati. Nel 1965 fu il presidente Jhonson che tentò di migliorare il rapporto con Castro. L’esito ha prodotto la prima crisi migratoria chiamata da molti, Voli della Libertà. Prima prova di dialogo superata da Castro con l’emigrazione di 240 000 persone.
Nel 1980, fu il momento di Carter. Voleva porre termine agli intrighi castristi, invece Castro ripsonde con la seconda grande crisi migratoria creatasi a seguito dell’attentato all’ambasciata del Perù a La Havana (un auto investì la cabina di ingresso della sede diplomatica). In 3 giorni migliaia di persone entrarono nell’ambasciata peruviana per chiedere asilo politico, l’ambascia rimase aperta su ordine di Castro. Da quel momento Cuba diventò un inferno, nacquero i centri uffici d’immigrazione in ogni comune del paese dove si trattavano le pratiche delle persone che volevano abbandonare il paese . In seguito si instaurarono gli “Actos de Repudio”, organizzati dalla polizia segreta con il “Comité de Defensa” de la Revolución” e nei posti di lavoro, squadre di polizia segreta e organizzate con semplici cittadini addetti all’aggressione dei dissidenti. Uno spettacolo organizzato da Castro per dare sfogo alla difficile situazione del paese, che finì con l’abbandono del paese di circa 125 000 persone.
Nel 1994 fu la volta di Clinton. Allora Castro, maestro dell’autoaggressione, si inventò la protesta chiamata “Maleconazo”. Una protesta inscenata sul lungomare caratterizzata da atti vandalici, dove si lanciavano dei sassi contro vetri dei pochi negozi che rimanevano nella città. Confesso che non sono convinto che il disordine sia stato un atto spontaneo. Io sono dell’idea che i primi sassi li abbia lanciato un agente castrista. Da qui nasce la storia dei Balseros, le persone che scappano suIle zattere. Circa 30.000 i cubani che raggiunsero gli Stati Uniti, molti altri purtroppo rimangono inghiottiti dall’oceano.
Obama senza voler imitare i suoi predecessori ha cercato un’intesa, uscire dalla Casa Bianca con un record, vedere cadere il castrismo con un paradosso: diventando forse il primo partner economico del regime. Ma con i Castro, “no se puede”, non si può dicono i cubani. E’ già da qualche mese che il regime ha iniziato le aggressioni verbali nei confronti di Obama. Prima, Obama era ingenuo, dopo Obama, era vittima dell’imperio demagogo, più avanti ipocrita e, adesso mandano il cane di Castro, utilizzano Chávez a lanciare l’offesa a Obama: Nobel della Guerra viene apostrofato Obama da Chavez, ovviamente il mittente del messaggio è Castro. Non si sa quale dei due: il reale o il fantasma.
Il fatto che i castristi non avessero già montato il circo mi indicava lo stato precario della testa di Castro. Risulta a molti cubani difficile accettare l’idea che con un presidente che aveva offerto troppo al castrismo, Castro non avesse organizzato lo show. Non sono convinto che il cittadino americano arrestato nei giorni scorsi sull’Isola sia stato mandato a Cuba dal governo di Obama o al meno con la acquiescenza di Obama. Tante volte casi come questo si chiudono e passano alla storia come un atto di provocazione o ingerenza perché gli americani non hanno voluto provare la loro innocenza o perché c’è di mezzo qualcosa di strano. Dichiara il governo di Cuba che il signor - senza nome fino ad adesso- stava distribuendo cellulari e computer satellitari ai dissidenti. Sappiamo tutti che cellulari o un computer moderni sono i più grandi nemici del regime cubano. Non so perché ogni volta che il regime ha una crisi arriva un tonto con un computer, un fucile, una piccola bomba, un comando di due persone sulla costa cubana (che nessuno ha visto), o un funzionario americano che appoggia i dissidenti, da dove escono questi opportuni personaggi per il regime?
Abbiamo visto in questi mesi come ogni atto contestatario o repressivo a Cuba , sono uscite le immagini dagli schermi dei pc o dai cellulari da Cuba in poche ore o in pochi giorni.
Attendiamo qualche risposta da parte del governo di Obama che chiarisca la vicenda del presunto agente segreto americano arrestato a Cuba. E pure , siamo fiduciosi questa volta che L’Unione Europea non trovi più argomenti per rimandare le vere misure che occorrono nei confronti del governo dell’Avana per arginare il regime. La tecnologia ha mostrato con immagini al mondo la vera indole del regime castrista.
Siamo sulla soglia, sicuramente, di un dramma. Raúl, che appena ha lanciato un duro monito ai dissidente non è un grande esperto in materia di scenografia del crimine, ma insieme a Che Guevara, Ramiro Valdés e altri già morti, è uno dei protagonisti dell’opera di Fidel Castro.
Sono convinto che la storia dell’agente statunitense è un stratagemma per incastrare i dissidenti più scomodi, spolverando di nuovo la legge bavaglio. Manovra per cui hanno fato uscire dalle mura del palazzo di governo, il fantasma di Fidel.


Carlos Carralero, Milano 23 dic. 2009

giovedì 10 dicembre 2009

Acto Repudiable

Carlos Carralero
Otro acto repudiable (no de repudio), repugnante, degradante, aberrante, infamante denigrante, ofensivo hasta para quien se presta a ello. Sali... Mostra tuttoó de la cloaca castrista un cucarachero; que es la verguenza del siglo XXl, para contaminar las calles con larvas de odio y envidia. Porque estos envidian el no poder tener familiares héroes. Porque morirán sin decoro, sin haber encontrado sentido a sus vacías vidas. Porque sus existencias han trascurrido sin principios. Las plantas se reirían de ellos porque ni eso saben hacer, vivir como lo hacen las plantas: vivir una vida vegetativa, sin hacer daño, al menos donando oxígeno como lo hacen los árbles de Quinta Avenida. Por donde pasan castristas y cómplices extranjeros, derrocchando anhidrido carbónico. Ellos, esos... verdaderos mercenarios del castrismo, saben sólo robar oxígeno y envenenar los tiempos: el pasado, el presente y el futuro -que deberá cargas con esta verguenza nacional-.

martedì 8 dicembre 2009

la Unidad

Qué considera necesario para alcanzar la unidad?
La unidad (de los cubanos) ha sido tema de obsesión en mi existencia desde que vivo en exilio. En Cuba pensaba que la falta de unidad se debía el terror. Aquí en Europa he cobrado conciencia de las dimensiones dramáticas que ese concepto alcanza a la hora de aplicarlo a los cubanos.
La unidad de los cubanos debe asumirse, para luego entenderse, con abierto espíritu de relatividad. Se trata de una matemática aplicada a la conciencia humana. Cifras: de cubanos capaces, de cubanos de buena voluntad, de cubanos con dignidad, de cubanos amantes de la libertad, de cubanos convencidos de que este es la mejor opción para terminar con esta pesadilla. No podemos esperar que esta convicción llegue a millones. La unidad en los cubanos es un fenómeno que ha nacido en la conciencia y crece a partir de ella. Ya somos varios los que hablamos de esto, miles, diría yo, los que luchamos por esto en el exilio y algunos cientos o quizá miles en Cuba. Nunca una revolución cultural o social ha sido realizada por la mayoría, por la totalidad de un pueblo. Nosotros somos ya, una cantidad suficiente para crear la conciencia a otros de que la unidad es la mejor de todas las maneras de luchar contra un enemigo difícil como el nuestro: sin escrúpulos, con muchos cómplices y con mecanismos diabólicos que hacen que todo lo que no parta del régimen constituya un delito, si no se acepta. La pequeña organización que un grupito de cubanos y algún raro ialiano funadmos en Italia hace algunos años, lleva un apellido largo: por las lIbertades en Cuba. El nombre de bautizo se lo di yo, “Unión” –y tiene origen en esta obsesión- que surge a partir de la conciencia de que la clásica frase usada por algunos cubanos es cierta: “A los cubanos es fácil reunirlos, muy difícil unirlos”. Los grandes dictadores, estudian las características principales de los pueblos que pretenden dominar. Castro se estudió muy bien las de los cubanos y si una cosa le ha salido bien es la de dividir a su pueblo en varias fracciones. Exilio, nación y estas a sus vez divididas varias veces empezaando por la casa, el Comité de Defensa, etc. Ahora quiere el régimen convertir a la Florida en la Hong Kong cubana. Encontré una analogía entre el drama cubano y el de los hebreos en los tiempos de Moisés. Castro es el desierto, la Unidad de los cubanos es el río Jordán. Sepan cubanos de buena voluntad, agentes infiltrados, cómplices, frustrados y oportunistas declarados, que nuestra revolución ya hace rato partió de nuestra conciencia y tiene atravesado el ya escuálido desierto. Fidel Castro. Falta poco para el río Jordán. No permitamos que al llegar muchos se ahoguen con la sangre. En pocas palabras: ¡Sigamos madurando el concepto porque lo gestamos, lo parimos y lo estamos creciendo. Trasmitámoslo a otros y no nos dejemos dividir por nada ni por nadie. Esa es la receta para llegar a la unidad!
¿Qué sugiere para lograr el cambio y la unidad de Cuba?
Para lograr el cambio hace falta llegar a la unidad, para llegar a la unidad, tomar todos este concepto como una obsesión. Hace rato yo estoy obsesionado con esta idea. El nombre de mi organización es el ejemplo, la acción de tal aseveración .

¿Considera que las acciones en internet son útiles para divulgar y sensibilizar a la opinión mundial sobre la violación de los derechos humanos en Cuba?
Castro muchas veces con su poder aplastante ha sido acusador y testigo en procesos y en acciones sucias. Por ejemplo en el juicio a Hubert Matos. Era primer ministro, comandante en jefe, acusador, testigo, juez y fiscal. Internet lo ha sustituido de manera inversa. Lo acusa, sirve de testigo, lo juzga, lo condena y lo deja sin palabras –aunque ya todas las ha gastado en casi medio siglo de desmanes y desprporciones- sin argumentos, sin retórica. ¡Viva mi amigo “el Internet”, aunque yo no sea muy ducho, muy carñoso con él!

Carlos Carralero

mercoledì 2 dicembre 2009

Plan secreto en Honduras para legitimar a Raúl Castro

Un inesperado acontecimiento político en Honduras trajo a la superficie realidades ocultas y puso en relieve verdades convenientemente pasadas por alto. En Honduras el incipiente imperialismo brasileño sacó sus garras. Hugo Chávez demostró hasta dónde puede llegar. José Miguel Insulza hizo encallar a la OEA. La política latinoamericana mostró su incoherencia y hasta la paloma de Obama perdió algunas plumas. En Honduras naufragó el plan secreto para legitimar a Raúl Castro en Cuba.Pocos en la región hubieran imaginado que detrás del presidente brasileño había otro personaje esperando su turno. Lula da Silva sorprendió con sus contradicciones. Reclamó con prepotencia el regreso de Zelaya a la presidencia para salvar la democracia en Honduras, mientras llenaba de abrazos y cordialidades a sus entrañables amigos, el dictador de Cuba y su hermano Raúl. Con similar deferencia es aliado de la teocracia iraní, que acaba de robar una elección reconocida como legítima por Lula da Silva. Irán es promotor del terrorismo internacional, su régimen reprimió con brutalidad a quienes protestaron por el robo de la elección y trató con increíble crueldad a quienes fueron arrestados. Lula no está por la democracia en Honduras ni por la tiranía en Cuba o en Irán. Lula está por lo que cree que le conviene a Brasil en su camino a la hegemonía regional. El imperialismo brasileño ya enseñó sus uñas; hispanoamericanos, tomemos nota.A Hugo Chávez le faltó todo lo que le sobró a Micheletti. El venezolano demostró que con petrodólares no pueden comprarse ni inteligencia ni coraje. Con ambas cosas hay que nacer. La estrategia del castro-chavismo en Honduras fue primitiva, insolente y estúpida.José Miguel Insulza demostró que no se pude servir a dos amos, el ALBA y la OEA. En una entrevista inmediatamente después de la expulsión de Zelaya, declaró a CNN que sobre el caso de Honduras lo único que podía hacer la OEA era una denuncia moral. Pero inmediatamente después de encontrarse en Managua con el cuate de Hugo Chávez, se lanzó como un miura contra la clase política hondureña. Con amenazas, prepotencia y promesas incumplidas, Insulza ha escrito una triste página en la historia del organismo regional.Los sucesos en Honduras descarrilaron el plan secreto para legitimar el poder de Raúl Castro en Cuba, en el cual la diplomacia brasileña y la venezolana trabajaron intensamente. El objetivo era que Latinoamérica, con el respaldo del gobierno español, presentara a Obama un frente unido apoyando a Raúl Castro en Cuba, con el argumento de que una transición ya estaba en marcha y que requería de la dirección de Raúl para garantizar la estabilidad del proceso. Presionado por la comunidad internacional, pues España se haría cargo de convencer a la Unión Europea, el presidente estadounidense suspendería incondicionalmente el embargo. Como compensación, el capital estadounidense entraría en Cuba con inversiones que le permitirían una buena tajada de la economía cubana.El primer paso consistía en el levantamiento de las sanciones a la dictadura castrista. Así sucedió por decisión unánime de las naciones latinoamericanas en Tegucigalpa a principios de junio. No fue un hecho aislado ni fortuito. Con toda intención, ni uno solo de los presidentes latinoamericanos mencionó la falta de un estado de derecho en Cuba. Con anterioridad presidentes latinoamericanos habían viajado a Cuba a saludar al convaleciente Fidel Castro y a su escogido sucesor Raúl. Persuadida por Brasil, Costa Rica había anunciado su decisión de restablecer relaciones diplomáticas con Cuba tres meses antes. Arias alegó la existencia de nuevas realidades. El Departamento de Estado en Washington no era ajeno ni se opuso a estas maniobras.El Secretario General fue entrevistado por CNN inmediatamente después de que la OEA levantó las sanciones a la dictadura castrista, abriendo la puerta a un ingreso a la OEA por iniciativa de Raúl, después de la muerte de Fidel. En esa entrevista Insulza anunció eufórico que estaba seguro de que hasta el embargo estadounidense también se levantaría, e insinuó que, en el caso de Cuba, la OEA podría ser flexible en la interpretación de la Carta Democrática. Con toda razón, la Carta Democrática jamás se ha usado para defender la democracia en Venezuela. ¿Por qué aplicarla en Cuba?Menos de 30 días después, Manuel Zelaya perdía la presidencia y la democracia se pondría inusitadamente de moda en la OEA y en la ONU. La presión de Hugo Chávez a Insulza fue decisiva. Nadie en este continente, ni fuera de él, quiso perder la ocasión de redimirse. Honduras les daba la oportunidad de lavarse el pecado de haber guardado un silencio cómplice, y en otros casos cobarde, ante el estrangulamiento de la democracia en Venezuela.La consecuencia no calculada fue que, al resaltar la virginidad democrática de cada uno de los enemigos del “golpe de estado”, y al utilizar todo tipo de sanciones contra quienes sacaron a Zelaya del poder, convencidos de que podrían doblegar a Roberto Micheletti y su gobierno, el esquema para colar por la puerta de atrás al nuevo dictador castrista en la OEA se ha convertido en una tarea casi imposible. Después de Honduras y su aislamiento internacional, para ingresar en el organismo regional Raúl Castro tendría que hacer en Cuba elecciones debidamente supervisadas por todos sus miembros, incluyendo los Estados Unidos.En Honduras ha triunfado el derecho del pueblo a escoger a su gobernante, que era en esta crisis lo prioritario, en lugar de encasquillarse amedrentando y humillando a la mayoría del pueblo y a sus representantes, culpándolos por errores y exigiéndoles acciones que ninguno de los actores internacionales exige a los Castro y a Hugo Chávez, transgresores brutales de los derechos humanos y la democracia en este continente. En Honduras los grandes perdedores han sido la hipocresía y la demagogia latinoamericana, y se descarriló el plan para legitimar el fraude raulista. La OEA ha sufrido una innecesaria pero merecida lección y la paloma de Obama tendrá que aprender a volar menos errática y con menos plumas.
Publicado por Huber Matos Araluce en http://patriapuebloylibertad.blogspot.com/

Frases Célebres

"Querer es esencialmente sufrir, y como vivir es querer, toda vida es por esencia dolor. Cuanto más elevado es el ser, más sufre... La vida del hombre no es más que una lucha por la existencia, con la certidumbre de resultar vencido. La vida es una cacería incesante, donde los seres, unas veces cazadores y otras cazados, se disputan las piltrafas de una horrible presa. Es una historia natural del dolor, que se resume así: querer sin motivo, sufrir siempre, luchar de continuo, y después morir... Y así sucesivamente por los siglos, de los siglos hasta que nuestro planeta se haga trizas."
SChopenhauer

sabato 28 novembre 2009

Algo de nuestra Historia



UN POQUITO DE HISTORIA

Un cronista musical Aunque su verdadero nombre era Antonio Fernández en Cuba, todos lo conocían por Ñico Saquito. Lo de “saquito” le venía por la guantilla en forma de saco que solía usar de muchacho en los placeres de Santiago de Cuba , su ciudad natal, cuando jugaba a la pelota. Las guantillas eran un guante de lona o tela, que los muchachos pobres solían hacer para jugar con ellos al béisbol. Con esas guantillas, que parecían un “jamo” o saco se podían hacer maravillosos engarces. Pero la fama de Ñico Saquito no le vino por el béisbol, sino por la canción y la música y por su peculiar manera de incluir en sus composiciones musicales temas destacados de la variopinta actualidad nacional cubana. En una época en que no existía m ás que la radio como medio de comunicación masiva, Ñico, autor, trovador y guitarrista le contó a los cubanos la actualidad con sus canciones. Fueron famosas sus composiciones sobre “El Madrugón del 10 de marzo” cuando el golpe de estado de Batista; “Ya don Rafael habló”, en referencia a la novela “El Derecho de Nacer”; “El Berrinche de María y Agustín, sobre la desavenencia de María Félix y Agustín Lara; “Silverio y la luna”, contaba las andanzas del torero Silverio Pérez. Entre sus canciones más populares estaban: “Al vaivén de mi carreta”, “Compay Gallo”, María Cristina me quiere gobernar”, “Jaleo”, “No deje camino por vereda, “La vaca lechera”.
La punzada de guajiro En Cuba se producían muy buenos helados, tal vez la necesidad de contar con líquidos refrescantes dio origen a que nos especializáramos en prepararlos. Todos recordamos los helados de la abuela, hechos en aquellas sorbeteras de madera, alimentadas con hielo y sal, a las que había que hacerlas girar con una manigueta hasta que el líquido cuajara y saliera el delicioso mantecado. Luego aparecieron los "durofríos", hechos en el congelador de los refrigeradores y los jugos de frutas helados casi a punto de congelación. Y sucedía que si usted tomaba un helado, durofrío o refresco rápidamente, sentía un dolor agudo, penetrante, insoportable y temporal desde el cuello hasta la cabeza: tenía la "punzada de guajiro". La razón científica de esta reacción, según me indican, es que se produce un enfriamiento de los nervios que irrigan la garganta y esto hace que se sienta la sensación de dolor o "punzada" del cuello a la cabeza. Me han dicho que la frase se originó porque cuando comenzaron a popularizarse en Cuba los helados y productos refrigerados los guajiros comenzaron a consumirlos y como no tenían costumbre de consumir materia tan fria, los bebían muy rápido, con lo cual daban origen al enfriamiento o "punzada" de que hablamos y como los que más frecuentemente sentían la "punzada" eran los guajiros, por las razones que apuntamos, el vulgo bautizó el fenómeno como “la punzada de guajiro”. Mi recomendación es que no beba líquidos helados muy rápido si no quiere que le dé la "punzada de guajiro".

El Tingo Talango Si usted es cubano viejo seguramente ha oído hablar del “Tingo Talango”.. Y ¿Qué es el Tingo Talango? Bueno, según dice Julio Cuevas en su sabrosa guaracha del mismo nombre, el Tingo Talango es un instrumento musical que “no es de cuerda ni de viento.”El Tingo Talango es de origen congo y, según Helio Orovio en su Diccionario de la Música Cubana, “consiste en una rama flexible clavada en la tierra que, arqueada, pone en tensión un cordel hecho de yagua o de latón. Esta va fija al suelo, tapando un hoyo hecho en la tierra a cierta distancia del arco tensor”. Y sigue diciendo Orovio: "El músico, de pie o sentado, según el tamaño del instrumento, frente a la cuerda o alambre que ha quedado vertical, tenso, lo golpea con un palo, mientras que con la otra mano, apoyada en el bejuco arqueado, modifica la tensión y obtiene sonidos de diferentes alturas”. En la guaracha de Cuevas hay un estribillo que dice: “dale que dale al sumbantorio”. ¿y qué es el “sumbantorio” se preguntará usted?. Pues, según mis fuentes, es como le llamaban los cubanos viejos al trasero de la mujer, al que también se referían como el “volumen” de Carlota.
Liborio Así como el “Tio Sam” simboliza al pueblo norteamericano, Liborio es el personaje que simboliza al pueblo de Cuba . Este personaje de pronunciada nariz, largas patillas y atuendo campesino expresó por varias décadas el pensar y el sentir el decir y el sufrir del pueblo cubano. Creado por el caricaturista Ricardo de la Torriente, apareció por primera vez en 1900 en el periódico La Discusión que dirigiera Torriente y más tarde y desde 1905 hasta 1931 en en el semanario La Política Cómica también dirigido por Torriente. Todas las vicisitudes, penas y alegrías del pueblo cubano en esas décadas fueron captadas por Liborio y expresadas a veces en cuartetas otras veces con sólo un gesto de su cara, ya que Liborio era un bromista un tanto satírico. Hacia los años cincuenta surgieron otras versiones más modernas de Liborio y hasta surgió Liborito Pérez, versión más ligera y con distinto talante: sin patillas ni bigote, de cara regordeta y sombrero mambí y guayabera criolla.
Esta nueva versión de Liborio apareció también en el semanario humorístico Zigzag de Castor Vispo y Roseñada, que en cierta forma fue el continuador, al menos en el estilo humorístico de La Política Cómica. Liborio desapareció de la escena cubana como desaparecieron muchas de nuestras mejores tradiciones.
Botellas y botelleros A lo que en otro lugares llaman sinecura, prebenda, canonjías o mamandurrias, en Cuba les llamamos botellas. La botella es una cantidad que se percibe sin trabajar, o por no hacer nada. Es, sencillamente, un privilegio. El origen de la palabra botella para definir este hecho no es muy claro, aunque se afirma que quizá se deba al hecho siguiente. Cuando se establecieron los juegos de pelota vasca o “Jai-Alai” en La Habana, se permitía la entrada “de balde” a ciertas personas que entraban al frontón con botellas de agua fría para que los pelotaris saciaran su sed. Como las personas que entraban con las botellas no pagaban, el público asoció este privilegio con las botellas y a los que llevaban les llamaban botelleros. Las botellas y botelleros alcanzaron su mayor popularidad en tiempos del presidente Mario García Menocal, quien se dice que distribuyó botellas a granel entre sus amigos y colaboradores políticos. Parece que esta costumbre de ofrecer privilegios nos vino de España pues ya en 1604 Agustín de Rojas en su Viaje Entretenido nos cuenta cómo en Sevilla muchos aprovechados solían entrar al teatro sin pagar la entrada, o, de botella. En cierta forma el primer y más famoso botellero de Cuba fue Fernando Colón, hijo predilecto del descubridor y notable cronista, quien cuenta que próximo a morirse su padre le concedió “una pensión de mil quinientos pesos anuales sobre la Isla de Cuba” .

La culpa de todo la tuvo el totí El totí es un pájaro pequeño que abunda mucho en la campiña cubana. En la región oriental de Cuba se les llama choncholí. Pertenece a la familia de los córvidos; tiene plumaje negro y pico encorvado y se alimenta de semillas e insectos. Don Fernando Ortiz dice en su libro Nuevo Catauro de Cubanismos que este pequeño plumífero hacía tanto daño a las cosechas y aún al azúcar almacenado, q ue era costumbre en los antiguos ingenios poner a un esclavo a cuidar que los totíes no se acercaran a picotear los sacos de azúcar o de granos almacenados. Los esclavos, puestos a cuidar lo que a ellos les faltaba, solían robar de los sacos almacenados y echarle la culpa de las faltas a los totíes, cuando el mayoral o el amo les reclamaban. Así surgió la frase “la culpa de todo la tuvo el totí”, que socorridamente usamos los cubanos para descargar nuestra responsabilidad, cuando somos sorprendidos infragante en alguna falta.
El cocomacaco Tres signos externos distinguían al sargento político cubano de primeros años de la república: traje de drill cien, diente de oro y cocomacaco. ¿Qué era el cocomacaco? Pues una especie de bastón o garrote nudoso, que se usaba como arma defensiva u ofensiva, según como se mirara, por los activistas políticos y gente de acción. Era el signo de la “guapería” a la cubana, o sea, del hombre pendenciero y perdona vidas. El cocomacaco fue usado también en Haití como arma principal del ejército. Un viejo poema haitiano dice: “contra el hechizo de la mala hembra, cocomacaco duro tendrá”. Digamos, pues, que el cocomacaco es un instrumento contundente de disuasión. Palo y tente tieso, como diría un castizo. All comienzo de la república se usaba el cocomacaco para hacer trabajar a los que, pudiendo, no querían. Esta copla reflejaba el grado de vagancia de algunos: No refrescar / no escupir / no rascarse / no fumar. Muy temprano llegar / casi de noche salir / no hay tiempo para almorzar / ni otra cosa que escribir / quien se quiere colocar / es que se quiere morir.. Para corregir a estos sujetos se usaba el cocomacaco.
Sin azúcar no hay país Las raíces de la caña de azúcar fueron llevadas a Cuba desde las Islas Canarias por Cristóbal Colón en su segundo viaje, en diciembre de 1493. Plantadas en las fértiles tierra cubanas, las lluvias, el sol y las magníficas condiciones climáticas pronto hicieron que la planta se enraizara y hacia 1501 surgió el primer cañaveral propiedad de don Pedro de Atienza. Al principio se extraía el guarapo por medios manuales. El Padre Bartolomé de las Casas dice que en 1506 el catalán Miguel Ballester comenzó a extraer el guarapo o “zumo de la caña” por medio una instrumento llamado “cunyaya” o prensa de palanca. El primer trapiche de caballos lo construyó don Gonzalo de Velosa. A estos rudimentarios trapiches también se les llamaba “cachimbos”. En las Elegías de Juan de Castellanos aparece esta copla: “El inventor primeros de esta cosa, / Que primero lo dio perfeccionado, / Dicen que fuese Gonzalo de Velosa, /Varón por buena letra estimado”. Andando el tiempo y con la aparición de las calderas de vapor surgieron los “ingenios”. Dice Fernando Ortiz que se decía ingenio por decir “industria, maña o artificio”. Con el desarrollo de la tecnología surgieron los ingenios ultra potentes, que pasaron a llamarse “centrales”. Desde el descubrimiento, la industria azucarera estuvo ligada a la historia de Cuba . Sus triunfos y fracasos dejaron huella indeleble en la historia y en el carácter de los cubanos. Si la industria azucarera iba bien era época de “vacas gordas”. Por el contrario, si a la industria azucarera le iba mal entonces estábamos en época de “vacas flacas”. Cuando en 1944 el presidente Grau logró un ventajoso acuerdo de precios para el azúcar que vendíamos a los Estados Unidos, se produjo el llamado “Diferencial Azucarero”, un período de vacas gordas de grata recordación. Cuando cada cubano tenía cinco pesos en el bolsillo, según decía Grau. Ahora que se anuncia la eliminación de la industria azucarera cubana es hora de recordar aquella famosa frase que llegó a ser un axioma entre los cubanos: “sin azúcar no hay país”.
El presidente cordial En 1948 presentó su candidatura a presidente de la república el doctor Carlos Prío Socarrás. El doctor Prío procedía de una familia de la clase media cubana. Sus mayores había participado en la guerra de independencia y él, en sus años de estudiante, había sido miembro del Directorio Estudiantil Revolucionario, que tanto tuvo que ver con la caída del general Machado. Durante el gobierno del doctor Ramón Grau San Martín, Prío había ocupado los cargos de Ministro del Trabajo y de Primer Ministro, además del escaño de senador por la provincia de Pinar del Río. La campaña de Prío se desarrolló con gran entusiasmo y dinamismo entre las masas de su Partido Revolucionario Cubano (Auténtico). Se escogió una enorme aplanadora como símbolo de la campaña y la música electoral compuesta por Osvaldo Farrés decía: Prío, Prío presidente / porque lo quiere / lo quiere la gente. / Ahí viene la aplanadora / con Prío alante y el pueblo atrás. Y, más de una vez, apareció el doctor Prío conduciendo la aplanadora. La candidatura de Prío Socarrás triunfó sobre la del doctor Ricardo Núñez Portuondo, un distinguido médico habanero y Carlos Prío tomó posesión de la presidencia el 10 de octubre de 1948. En el discurso de toma de posesión Prío afirmó: “Yo quiero ser un presidente cordial”. Su gobierno se caracterizó por la ejecución de numerosas obras públicas en toda la isla, impulsadas por el Ministro de Obras Públicas Luis Casero Guillén. Particularmente, en La Habana se dio inicio al proyecto monumental de la Plaza Cívica (luego llamada Plaza de la Revolución por Castro), en la que se ubicarían los edificios del Tribunal Supremo de Justicia, el Teatro Nacional, Tribunal de Cuentas, Biblioteca Nacional, Ministerio de Comunicaciones y otras dependencia del Estado. Otros grandes logros del gobierno de Prío fue la creación del Tribunal de Cuentas, del Banco Nacional de Cuba como banco de bancos y numerosas leyes sociales, como la del aguinaldo a los empleados conocida como “Ley Arturito”.
El gobierno de Carlos Prío Socarrás terminó abruptamente el 10 de marzo de 1952 con el golpe militar del general Batista. Muchos cubanos, incluyendo el que esto escribe, recordaremos siempre al doctor Prío como “el presidente cordial”.

La Jornada Gloriosa El 1 de junio de 1944 se celebraron elecciones generales en Cuba para elegir un presidente y un vicepresidente, las dos cámaras del congreso y los gobernadores provinciales. Dos grandes agrupaciones políticas presentaron candidatos: La Coalición Socialista Democrática y la Alianza Auténtico Republicana. Los de la CSD postularon al Dr. Carlos Saladrigas y Zayas, un prestigioso médico, para presidente y al Dr. Gustavo Cuervo Rubio para vicepresidente. La Alianza, por su parte, postuló al Dr. Ramón Grau San Martín, un eminente profesor de fisiología de la Universidad de La Habana, y al Dr. Raúl de Cárdenas y Echarte para vicepresidente. El presidente Batista apoyaba al candidato de la coalición y todo parecía indicar que éste sería el ganador, aunque en aquella época no se hacían encuestas como ahora. Lo que realmente sucedió fue que el pueblo votó masivamente por el candidato de la Alianza y así resultó electo el Dr. Grau San Martín. Eduardo Chibás y Rivas, que fungía como vocero de la Alianza y que resultó electo senador en aquellas elecciones, dio en llamar aquel día de elecciones como “La Jornada Gloriosa del Primero de Junio” y así lo empezó a llamar en sus discursos y radio mítines, quedando acuñada la frase para la historia.. Los doctores Grau San Martín y Cárdenas Echarte tomaron posesión de sus cargos de presidente y vicepresidente el 10 de octubre de 1944.
Recuerdos de Cuba - Segunda Edición 2008 Por Andrés D. Puello
La cultura cubana se pone de manifiesto en este libro. Leerlo es entrar dulce y melancolicamente por el campo de los recuerdos y al hacerlo se recordará o se aprenderá mucho de lo cubano. Para adquirir una copia de este libro envié un cheque por la cantidad de $11.45 (cubre costo y gastos de envío) a: DPA International, P.O.Box 440817 , Houston , TX 77244 . Lo recibirá a vuelta de correo. O, si lo prefiere puede pagar con su tarjeta de crédito.
El collar de la reina Cuando terminó su mandato el general Mario García Menocal, tercer presidente de Cuba , se fue a vacacionar a París. Menocal estaba casado con Mariana Seba, dama de la alta sociedad habanera, famosa por su buen gusto y refinamiento. Se encontraba en París, de vacaciones también, el rey de España don Alfonso XIII, a quien acompañaba su esposa la reina Victoria Eugenia. Una tarde, al visitar una importante joyería parisina, la soberana quedó deslumbrada por un collar que había en exhibición. La reina trató de convencer a su augusto esposo que se lo comprara, pero don Alfonso que gozaba de fama de ser comedido en el gasto, no quiso complacer a su esposa. Tras varios días de insistencia, doña Victoria Eugenia logró convencer al rey de que le comprara el collar. Fueron a la joyería, pero ya el collar se había vendido a la esposa del general Mario García Menocal. La reina le recriminó a su esposo: -Lo ves, por tu tacañería perdí el collar. A lo que don Alfonso respondió: “¿Qué querías que hiciera, mujer? Yo sólo soy el rey de España, y él es un ex presidente de la República de Cuba”.
El modesto quilo Cuando comenzó la primera intervención norteamericana en Cuba en 1898, todo el papel moneda emitido por el Banco Español de la Isla de Cuba se declaró nulo y sin canje, y comenzó a circular la moneda norteamericana, o sea, el dólar. Esta situación se mantuvo, aún instaurada la república, hasta que durante el gobierno del general Mario García Menocal (1913-1917) y siendo secretario de Hacienda el doctor Leopoldo Cancio Luna, se estableció el sistema monetario cubano. La moneda cubana tomó como patrón el oro, siendo su símbolo monetario el peso cubano, que se compone de cien centavos. De momento no se emitieron billetes, sólo monedas de 1, 2, 5, 20 y 40 centavos. La antigua peseta española se componía de cien céntimos a los que popularmente se les llamaba quilo. De ahí viene la costumbre cubana de llamar quilo a la moneda de un centavo. Aunque había la creencia de que el modesto quilo no tenía mucho valor. (“No vale ni un quilo” decían los cubanos viejos para indicar que algo tenía poco valor), con un quilo se podían comprar muchas cosas, como por ejemplo: un pirulí, una melcocha, un cigarro, un chicle, azúcar, sal, por señalar algunas. Con tres quilos un taza de café y con cinco quilos podías ir al cine. Una popular tienda habanera, que vendía artículos de a quilo se llamaba “La Casa de los Tres Quilos”. Y en Cienfuegos recordamos a la tienda “El Centavo”. No despreciemos, pues, al modesto quilo.
Los Aires Libres A las terrazas de los cafés y bares establecidos frente al Capitolio Nacional en La Habana, los cubanos les llamábamos Aires Libres. Eran sencillas terrazas para tomar una copa, un refresco o un refrigerio ligero. Lo más notable de los Aires Libres era la música. Prácticamente, cada terraza tenía su propia música ejecutada por una orquesta, conjunto, trío, dúo o, sencillamente, un cantante en solitario. La primera vez que visité una de estas terrazas fue en 1942, durante mi primer viaje a La Habana. En esos días La Habana no se encontraba muy alegre, pues los alemanes habían hundido varios barcos mercantes cubanos. Sin embargo, en los Aires Libres había “ambiente”. Recuerdo la orquesta “Anacaona” formada sólo por mujeres asiáticas. Fueron muchos los artistas que actuaron en aquellas terrazas. Uno de los más notables fue Daniel Santos, el inquieto “anacobero”. Otras de las atracciones de los Aires Libres eran los fotógrafos que deambulaban por ellos ofreciendo hacer fotografías de los asistentes. La oferta era variada. Las fotografías con el Capitolio Nacional de fondo tenían un precio mayor que las otras en las que sólo aparecía la persona “retratada”. El fotógrafo ambulante solía preguntar al cliente: ¿Con capitolio o sin capitolio? Recuerdo que, en unión de otros familiares, me tomé una de aquellas fotos “con capitolio”.
Las butifarras del Congo En la carretera central, a su paso por Catalina de Güines, se encontraba el restaurante de El Congo (cuyo nombre desconozco, a ver si alguien me echa una mano y me lo averigua) y su especialidad eran las butifarras. La butifarra es un embutido a base de carne de cerdo molida. Según se cuenta, llegó a Cuba procedente de zona de Cataluña, Valencia y las Islas Baleares en España, pero las butifarras cubanas eran realmente las mejores del mundo.. El Congo comenzó su negocio en un pequeño quiosco a la orilla de la carretera. Pronto los automovilistas, camioneros y guagueros descubrieron la calidad de la bufitarra de El Congo y comenzaron a parar sus vehículos para degustar aquel manjar. No tengo que decirles que, a la vuelta de unos años, aquel negocio creció hasta convertirse en un gran restaurante que ofrecía toda clase de comidas, aunque el plato fuerte seguía siendo las butifarras. No era raro en El Congo ver grandes concentraciones de automovilistas y los ómnibus de Menéndez, Santiago-Habana, La Ranchuelera, la Flecha de Oro, que hacía allí su parada obligada para que los viajeros pudieran degustar las butifarras. No en balde la décima popular decía: “Con este cantar propongo / lo que dice mi segundo / no hay butifarra en el mundo / como la que hace El Congo ”.

Café con leche Alguien, queriendo ofender a Cuba, dijo que los cubanos éramos un pueblo de chicharrones y café con leche. Bueno, realmente éramos mucho más que eso. Éramos uno de los primeros países de América; pero además hacíamos unos chicharrones de puerco para chuparse los dedos y preparábamos un café con leche como en el cielo. No hay café con leche en el mundo como el de La Habana de antes. Venía el camarero a la mesa con una lechera en una mano y la cafetera en la otra y, en la propia taza, te mezclaba el café con la leche. Todo un arte de sabor y precisión. Me imagino que tendría que ver la leche empleada y sobre todo el café. He saboreado el café con leche madrileño, que es bueno. He paladeado el que preparan en el Café de la Parroquia de Veracruz en México, que trata de parecerse al de Cuba , mezclado en la taza. También he probado el del Versalles en Miami, que también es bueno; pero ninguno me sabe igual a aquel café con leche habanero, saboreado sin prisa, en un café de La Habana Vieja, cuando Cuba florecía.

"El Encanto" y su encanto Más que una organización comercial, la tienda “El Encanto” de La Habana fue una institución al servicio de la sociedad cubana. Fundada en 1888 por la firma comercial Solis, Entriago y Cia. estuvo situada en la esquina de las calles Galiano y San Rafael . “El Encanto” fue modelo de buen gusto y modernidad en el comercio hasta su ocupación al inicio de la revolución castrista. "El Encanto" creó un modo distinto de comerciar. Más moderno, más refinado y más cubano. ¿Quién no recuerda sus atractivas “vidrieras”, sus elegantes empleadas, sus salones dedicados a lo mejor de la moda universal? ¿Quién no recuerda a "Don Julio"? El encanto de “El Encanto” era esa elegancia, ese buen gusto, esa “clase” que siempre supo imponerle a sus artículos, a sus servicios y a su personal. Recordamos hoy en esta viñeta a "El Encanto" y... su encanto. _____ La Guarachera de Cuba Se nos fue Celia Cruz, la “Guarachera de Cuba”. Esta incomparable mujer llegó a ser la representación de Cuba para el exilio cubano. Decir Celia Cruz es decir Cuba . No en balde ya ha comenzado a llamársele Celia Cuba, en vez de Celia Cruz. ¡Cuántos recuerdos y cuánta nostalgia nos ha regalado Celia Cruz durante estos cuarenta y tantos años de exilio! ¡Cuántos recuerdos detrás de cada una de sus canciones! “Se oye el clamor de un pregonar... “ y de inmediato nos vienen los recuerdos. El primer baile o la primera cita amorosa; o aquel lugar donde la vimos y bailamos con su música por primera vez. ¿Quién no recordó a Cuba, a sus paisajes y a sus gentes cuando oyó a Celia interpretar “Mata Siguaraya”, “Burundanga”, “Cao Cao Maíz Picao” “Cuba qué linda es Cuba” y otras muchas? Celia se ha ido; pero su música y su alegría se quedará para siempre con nosotros y, cada vez que oigamos sus canciones, pensaremos en Cuba . Esa Cuba que Celia Cruz tanto quiso.